Michele Cappadona: «Pur volendo mantenere fiducia nelle intenzioni della giunta Schifani, è doveroso ricordare come il CGA abbia stabilito che non sia legittimo che il governo regionale nel perseguire una politica di contenimento dei costi disponga una contrazione della spesa pubblica che costringe le aziende private ad operare in perdita».
La Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA) è una struttura residenziale che offre servizi socio-sanitari a persone non autosufficienti, anziane o con disabilità fisiche, psichiche o sensoriali che necessitano di assistenza continua, che non possono essere assistite a domicilio. Le RSA forniscono assistenza medica, infermieristica e riabilitativa per migliorare l'autonomia e il benessere dei loro ospiti.
L’Assemblea del Comparto Sociosanitario di Confindustria Sicilia, ha espresso profonda preoccupazione per la decisione della Regione Siciliana di riconoscere un adeguamento delle rette di degenza soltanto fino al 5% (3,5% nel 2025 e un altro 1,5% nel 2026). «Non è più possibile garantire un servizio dignitoso e continuativo ai cittadini più fragili con rette ferme da oltre vent’anni - dichiara il presidente del Comparto Sociosanitario di Confindustria Sicilia Francesco Ruggeri -. Le nostre aziende stanno sostenendo costi in continuo aumento, tra cui quelli del personale, che con i rinnovi contrattuali hanno registrato incrementi dell’11%»
Le rette di degenza per le RSA, infatti, risultano immutate dal 2004 e, nel 2007, hanno addirittura subito una decurtazione del 5% in seguito al piano di rientro regionale. «Un quadro che oggi, con l’aumento generalizzato dei costi, appare ormai insostenibile. Piena fiducia nel Presidente Schifani e nell’Assessore Faraoni ma inevitabile stato di agitazione», ha commentato Ruggeri, nella speranza che si possa giungere in tempi rapidi a una soluzione condivisa e sostenibile, capace di salvaguardare il futuro delle strutture e il diritto all’assistenza dei cittadini.
«Il settore della cooperazione sociale è al collasso per il mancato adeguamento delle rette dei servizi erogati ai cittadini. Se da un lato vogliamo avere fiducia nella volontà del governo Schifani di non far venir meno il confronto con le associazioni di categoria delle imprese siciliane che assicurano ai cittadini i servizi di assistenza sociale e sociosanitaria», dichiara Michele Cappadona, presidente dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane-AGCI Sicilia, «d’altra parte non possiamo ricordare “che non è consentito scaricare sulle strutture private il deficit finanziario di quelle pubbliche” com’è sancito nella sentenza del CGA Regione Siciliana n. 427 del 24 maggio 2021. La decisione del Collegio afferma e conferma principi fondamentali a tutela delle imprese sociali che assicurano l’erogazione di servizi per la PA.
Così, in un decreto assessorile volto a modificare unilateralmente ed autoritativamente rapporti economico-finanziari instaurati in regime di accreditamento e di correlato convenzionamento, la partecipazione al procedimento preordinato all’introduzione delle modifiche dei soggetti coinvolti (o degli organismi rappresentativi di categoria) costituisce un elemento imprescindibile.
Non c’è dubbio - continua Cappadona - sulla facoltà della Regione Siciliana di adottare una eventuale strategia di riduzione delle erogazioni alle case di assistenza ove si ritenga che identici (o anche migliori) risultati di gestione del settore oggetto di normazione possano essere raggiunti con una minore (e più oculata) spesa di risorse pubbliche.
Ciò che tuttavia il Collegio ha sancito non apparire legittimo è disporre una contrazione della spesa
pubblica - e, nella specie, un’entità delle rette per la degenza quotidiana degli anziani e delle persone bisognose di assistenza - talmente elevata da non consentire alle strutture sanitarie RSA di continuare ad assicurare un accettabile indice qualitativo delle prestazioni, da determinare a loro carico il rischio di tracollo finanziario (o, esprimendo il medesimo concetto, l’obbligo di "produzione in perdita").
Da molto tempo le imprese di settore lamentano proprio che l’importo delle rette non consente loro di coprire le spese affrontate per l’erogazione delle prestazioni (i cosiddetti. “costi di produzione” del servizio); e di essere pertanto gravate da un onere “sproporzionato” e non assolvibile che le costringe ad operare non soltanto senza alcun profitto, ma addirittura in perdita; il che è inesigibile.
Non può essere ignorato che sussiste un principio generale, desumibile dall’art.41 della Costituzione, in forza del quale nessun privato, ancorché operante in regime di convenzione con la PA (e/o di accreditamento con essa), può essere costretto o indotto ad agire in condizioni da generare perdite di esercizio; in condizioni, cioè, di rischio di dissesto finanziario.
Esistono due interessi, parimenti meritevoli di tutela e parimenti costituzionalmente protetti: l'interesse al contenimento della spesa pubblica e l'interesse privato alla libertà di iniziativa economica (che non può essere frustrata da oneri obiettivamente insostenibili). La sintesi dei due principii può essere trovata - almeno così sembra al Collegio - proprio nel principio dell'equilibrio dei bilanci, a patto che
si affermi che esso deve valere per qualsiasi attività comportante una spesa, sia se svolta da Amministrazioni pubbliche, sia se svolta da privati; e certamente, comunque, per le attività svolte dai privati in regime di concessione o di convenzionamento e/o accreditamento con enti o organismi pubblici (cosiddette "attività para/ pubbliche").
In sostanza, ribadisce Cappadona -, la Regione non può imporre parametri convenzionali di svolgimento dei servizi il cui rispetto causa alle aziende di lavorare non solo senza profitto, ma in perdita.
Pur se non può essere in alcun modo negato che il vertice politico dell’Amministrazione regionale sanitaria abbia la potestà di attuare la politica di contenimento della spesa pubblica (disposta dal legislatore), operando riduzioni delle rette di degenza, occorre una motivazione e un confronto con le rappresentanze di categoria che accerti come l’attuale entità delle rette non sia sproporzionato (rispetto allo scopo) né lo scompenso così rilevante da incidere sulla sostenibilità della condotta prestazionale (e sulla “tenuta” del regime convenzionale sinallagmatico (a obbligazioni corrispettive) che, nel cosiddetto “regime di accreditamento”, lega la parte privata a quella pubblica)».
Credits: AltraSicilia





















































