CCNL cooperative sociali. Il rifiuto del Governo Schifani di adeguare le rette dei servizi di assistenza in conseguenza del nuovo contratto di lavoro delle cooperative sociale costituisce violazione dell’obbligo previsto nel vigente Codice dei Contratti Pubblici, riformato nel 2023.
Tensione alle stelle nel settore dei servizi di assistenza in Sicilia. Le associazioni di rappresentanza delle cooperative sociali, in prima linea per garantire i servizi essenziali alla comunità, denunciano la piena e manifesta illegittimità del rifiuto del Governo regionale siciliano di sedersi al tavolo del confronto per adeguare le rette dei servizi, in palese contrasto con i nuovi oneri imposti dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL cooperative sociali) siglato nel 2024. Le centrali cooperative annunciano una mobilitazione crescente e l’inevitabile ricorso alle vie giudiziarie.
«Il nocciolo della questione è cristallino – afferma Michele Cappadona, presidente dell’Associazione Generale delle Cooperative Italiane-AGCI Sicilia – il nuovo CCNL cooperative sociali ha introdotto significativi aumenti dei costi del personale, tra cui incrementi retributivi scaglionati e l’introduzione della 14ª mensilità a partire dal 2025. Questi oneri, obbligatori per legge per le imprese sociali, comportano una sensibile variazione complessiva dei costi del lavoro. Nonostante ciò, la Regione Siciliana, committente dei servizi di assistenza socio-sanitaria tramite contratti pubblici e responsabile della definizione delle rette mensili con decreto degli assessorati alla Famiglia e alla Salute, si è finora sottratta a qualsiasi forma di adeguamento, lasciando le cooperative in una morsa finanziaria insostenibile.
Tale rifiuto non è solo inopportuno, ma si configura come una chiara violazione delle disposizioni nazionali del Codice dei Contratti Pubblici varato dal Governo Meloni (D.Lgs. 36/2023).
L’articolo 9 del Codice, che tutela il principio dell’equilibrio contrattuale, impone la rinegoziazione in caso di circostanze straordinarie e imprevedibili che alterano l’equilibrio economico, come il rinnovo di un CCNL.
Ancora più perentorio è l’articolo 60, che rende la revisione dei prezzi un “pieno diritto soggettivo” del contraente quando la variazione dei costi supera la soglia del 5%, eliminando qualsiasi discrezionalità della Pubblica Amministrazione. A ciò si aggiunge la violazione dell’articolo 5, che impone alla PA di agire secondo i principi di buona fede e leale collaborazione.
ll Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli, lo scorso 14 Gennaio ha impugnato l’art. 28, comma 16 della legge della Regione Siciliana n. 28 del 2024, che riconosce un adeguamento tariffario nella misura del 7% a quattro diverse tipologie di strutture per le quali non è individuata, a livello statale, alcuna tariffa di riferimento. In particolare, la norma siciliana autorizza l’assessorato regionale della Salute, a decorrere dall’anno finanziario 2024, a riconoscere l’adeguamento tariffario alle strutture riabilitative per disabili psico-fisico-sensoriali, alle comunità terapeutiche assistite, alle residenze sanitarie assistenziali e ai centri diurni per soggetti autistici, nella misura del 7 per cento a valere sui fondi del servizio sanitario regionale.
La Regione ha affermato che l’aumento tariffario costituisce una forma di “ristoro economico a fronte dei maggiori costi determinatisi per effetto dei rinnovi contrattuali intervenuti nel periodo 2007-2024 che hanno causato un aumento del costo del personale…”. Tuttavia, essa non ha saputo indicare i criteri/algoritmi di calcolo utilizzati per la definizione dell’adeguamento tariffario a valere sui fondi del SSR né evidenziare la coerenza dell’aumento prospettato con il programma operativo e il relativo quadro economico-finanziario in termini di sostenibilità.
Quanto alla garanzia dell’equilibrio finanziario, la Regione ha confermato le criticità rilevate riconoscendo che “l’incremento di costo previsto dall’applicazione della norma in oggetto non consentirebbe la sostenibilità dell’equilibrio economico-finanziario del SSR per l’anno 2024.” Quanto asserito dalla Regione conferma la violazione degli articoli 81 e 117, terzo comma, della Costituzione, «in materia di copertura di leggi di spesa e coordinamento della finanza pubblica». Per questi motivi il CdM ha deciso di impugnare la legge regionale in esame ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione.
È importante sottolineare che la solidità delle precedenti argomentazioni sugli obblighi della Regione derivanti dalle leggi statali sui contratti pubblici non viene minimamente scalfita da eventuali pronunciamenti della Corte Costituzionale. Anche se la Consulta dovesse dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 28, comma 16, della legge della Regione Siciliana n. 28 del 18/11/2024 (che aveva concesso aumenti a settori specifici), ciò non esimerebbe la Regione dall’obbligo di adeguarsi alle leggi nazionali che regolano i contratti pubblici. La normativa statale rappresenta il fondamento imperativo su cui poggia la richiesta di adeguamento delle rette».
Di fronte a un muro di gomma, l’Associazione Generale delle Cooperative Italiane-AGCI Sicilia, in rappresentanza e tutela delle cooperative sociali, conferma la proptia ferma volontà di proseguire la protesta pubblica con manifestazioni e iniziative di sensibilizzazione. Contemporaneamente, si preparano a intraprendere con decisione la via giudiziaria, presentando ricorsi al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per far valere i diritti delle cooperative e garantire la sostenibilità di servizi essenziali per i cittadini siciliani. «La battaglia per il riconoscimento di costi giusti – conclude Cappadona – e per la salvaguardia di migliaia di posti di lavoro e di un settore vitale per il welfare regionale è solo all’inizio».
Credits: IlGazzettinodiSicilia